29
Mar 2017
Una colata e un terremoto, le due cesure di Catania

Catania è un luogo nel cui tessuto è possibile leggere – come in un libro aperto – i cambiamenti subiti dalla città a seguito delle due cesure temporali della sua edificazione, che possiamo fissare con la colata del 1669 e l’eruzione del 1693.

E’ questa la ragione per cui, le chiese di Catania sono quasi tutte coeve. Ed è questo il motivo per cui molte, moltissime importanti attestazioni della Catania archeologica (greca, romana e bizantina) sono andate perdute… O meglio ancora costituiscono una Catania sotterranea che anche i catanesi doc, spesso, sconoscono.

La colata del 1669 fuoriuscì da una fenditura che si aprì su un fianco della Muntagna (proprio su quella spaccatura nel fianco dell’Etna, oggi sorgono i Monti Rossi, un tempo chiamati Monti ‘dda ruina). La lava sgorgò per ben 122 giorni come un fiume di fuoco correndo per ben 16 chilometri, lungo il versante sud-orientale del vulcano seminando (con gli oltre 970 milioni di metri cubi di magma) distruzione, morte e desolazione. Ben più di 38 chilometri quadrati di territorio divennero sterili, migliaia di abitazioni furono distrutte, 16 centri abitati (tra cui Malpasso, Mascalucia, Misterbianco, San Pietro Clarenza, Camporotondo, San Giovanni Galermo e Valcorrente) furono sepolti dal fiume di pietra rovente.

La colata, a seguito di un forte terremoto, cambiò percorso e raggiunse anche Catania penetrando in città attraverso il quartiere di Cibali. Quindi il flusso proseguì lungo i canali del fiume Amenano e raggiunse il mare, dopo aver distrutto tutta la parte sud-occidentale della città lasciando perfettamente integro, come in un abbraccio nero e potente, i bastioni, i fossati e le mura di Castello Ursino, magione di Federico II di Svevia. Il pauroso fronte magmatico (largo più di 3 chilometri e alto 12 metri) che investì anche il centro storico, infatti, fece avanzare la costa di oltre un miglio, interrando completamente il porto. Durante questa discesa a mare, la lava seppellì anche l’orto del Monastero dei Benedettini, circondandolo a nord e ovest: muraglioni di pietra lavica visibili ancora oggi nel nuovo assetto che il Monastero ha conquistato dopo il restyling dell’architetto Giancarlo De Carlo.

Quindi, proprio mentre il popolo catanese cercava di risollevarsi dagli effetti di questa grande eruzione, un nuovo inclemente evento naturale si abbatté sul capoluogo etneo. Forse l’evento più catastrofico che abbia mai colpito l’intera Isola: il terremoto della Val di noto del 1693 (il 23° terremoto più disastroso della storia dell’umanità, almeno fra quelli storicamente accertati, e il più forte mai registrato in territorio italiano). Con una magnitudo pari a 7.4, il terremoto distrusse interamente 45 centri abitati e mieté circa 60.000 vittime. Anche Catania fu ridotta a un cumulo di macerie e contò il più elevato numero di vittime (16.000 su 20.000 abitanti), anche perché l’evento principale dello sciame sismico del 1693 fu la scossa il cui epicentro è stato identificato al largo del Porto di Catania che innescò il successivo maremoto che colpì la città.

Eppure ancora una volta, Catania rialzò la testa e risorse, ancora più forte e più bella di prima. Privata di molte delle sue bellezze, ma pronta a costruirne altre, su un tessuto urbano – questa volta – pensato in maniera nuova, più razionale. Quest’opera di ricostruzione, come abbiamo avuto modo di raccontarvi sugli scorsi sumeri e come approfondiremo più avanti fu affidata ai più insigni architetti dell’epoca (tra cui Giovan Battista Vaccarini, Girolamo Palazzotto e Antonino Battaglia) alle migliori maestranze.

NB: La foto è tratta dal sito della Cattedrale di Catania e consiste nel Giga Pixel che il fotografo Antonino del Popolo ha fatto dell’affresco del Platania che si trova nella Sagrestia del Duomo.

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